LETTERA DEL PARROCO – AUTUNNO 2020

“Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio.” Rm 8,28

Questa parola di san Paolo mi impressionò molto nei primi anni di seminario. Da allora mi accompagna in tante situazioni. In particolare quando ci sono difficoltà. Confesso che non sono sempre pronto a viverla. Anche io, davanti alle contrarietà, cado nella lamentela e nella mormorazione contro Dio e il prossimo. Poi cerco di ripigliarmi. San Paolo fu educato da Dio proprio attraverso le difficoltà, come preannunciò Gesù ad Anania, quando lo mandò a battezzare Saulo a Damasco (Atti 9,16). Per questo san Paolo può incoraggiare i cristiani di Listra, Iconio e Antiochia, con le parole: “Dobbiamo entrare nel Regno di Dio attraverso molte tribolazioni.” (Atti 14,22) e nella lettera ai Romani sviluppa il suo insegnamento dicendo: “3 E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4 la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. 5 La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.” (Rm 5,3-5)

Quali tribolazioni?

È indubbio che molti in questi mesi hanno vissuto tribolazioni. Chi è stato contagiato o ha avuto parenti ammalati, ha trepidato per sé e per i suoi cari. Qualcuno purtroppo ha vissuto anche il lutto. Chi ha sofferto di essere bloccato in casa, perché a rischio o perché legato a persone a rischio. Chi ha faticato ad aiutare i figli nella scuola a distanza e chi con il coordinamento: scuola in presenza, scuola a distanza, lavoro, bambini all’asilo, parenti anziani …

Chi ha perso una parte importante del salario o del guadagno; chi ha perso il lavoro. Chi invece ha avuto un sovrappiù di lavoro, perché gravato da responsabilità dirigenziali di ogni genere. Chi era al fronte sanitario, negli ospedali, nelle case di cura, nelle case anziani… .

E accanto a tutte queste fatiche e tribolazioni, la mancanza, per quanti sono credenti e praticanti, del sostegno spirituale offerto dai Sacramenti, in particolare la s. Messa e la Comunione! Ma anche la mancanza di quel “Sacramento universale di salvezza” che è la Chiesa, la Comunità dei credenti radunati anche fisicamente. (v. Conc. Vat. II, Lumen Gentium, nr. 774-776)

È certo che i mezzi di comunicazione elettronica nei mesi passati sono stati preziosissimi anche a livello spirituale: TV, radio, telefono, internet, social, … ci hanno permesso di comunicare a voce, con le orecchie, ma anche con gli occh tra di noi e con i nostri cari. Ci hanno anche permesso di seguire il Papa nelle sue Messe quotidiane, il nostro Vescovo al Rosario delle 17.00 e nelle Messe festive.

Nonostante questo, la presenza fisica degli uni accanto agli alri, il vedersi, ascoltarsi, farsi cenni di mano, il sentire dal vivo la Parola di Dio, il rispondere insieme alle peghiere del sacerdote, soprattutto la s. Comunione sacramentale, ci sono mancate. Così come sono mancati tutti i raduni pastorali: i cammini di catechismo e gli incontri ricreativi e formativi di ogni livello.

Cosa possiamo dunque imparare, quale bene trarre dalla fatica e dalle tribolazioni conseguenti all’epidemia di Covid-19?

Padre Abraham, sacerdote eritreo che guida la Comunità Ortodossa di Eritrea in Ticino e celebra regolarmente nelle nostre chiese, all’inizio della sospensione delle celebrazioni con i fedeli mi ha condiviso questo versetto: Is 26,20:

20 Va’, popolo mio, entra nelle tue stanze e chiudi la porta dietro di te. Nasconditi per un momento,
finché non sia passato lo sdegno.

Sì, Dio attraverso la sua  Parola consegnata per sempre nelle Sacre Scritture, ci ricorda che non è indifferente al peccato dell’uomo. Se lascia che i mali colpiscano l’umanità è perché si attende una conversione.

Ma il sospetto che Dio sia allora vendicativo è definitivamente tolto in Gesù Cristo che assume la sofferenza umana prendendo la sua croce e trasformandola in sacrificio che salva l’umanità tutta. Anche la nostra sofferenza, assieme a tutte le cose belle che viviamo, così come il lavoro quotidiano, è chiamata a trasformarsi in offerta, in dono di amore al Padre per mezzo di Gesù.

È quanto facciamo ogni volta che veniamo a Messa  e rispondiamo alla preghiera del sacerdote:

“Pregate, fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre onnipotente.”

Un sacrificio che non è rinuncia sofferta e dolorosa, ma dono e ringraziamento. Perché in Gesù Cristo capiamo che la vita non ci appartiene. Soprattutto abbiamo capito che la vita non si riduce al respiro e alla salute del corpo!

La vita umana è ben di più: è esistenza di un essere fisico dotato di affetti e intelligenza, ma animato, sostenuto e diretto da uno spirito chiamato a vivere in alleanza con lo Spirito santo stesso. La nostra vita non è per noi stessi, il nostro oggi non è per essere goduto e consumato come un bene passeggero che dona una soddisfazione passeggera. Noi stessi e il tempo che ci è dato sono beni che Dio ci chiede di investire in vista del Bene definitivo che è la vita eterna! La vita in comunione con Lui.

Le tribolazioni sono permesse da Dio affinché il nostro cuore e la nostra mente non si attacchino a ciò che passa. Affinché il desiderio del bene vero, pieno e definitivo, la perfetta comunione con Lui e in Lui con tutti i santi del Cielo, ci tenga desti e ben orientati. Le tribolazioni sono anche occasione di esercizio dell’amore fraterno. Quell’amore che copre una moltitudine di peccati. (v. 1 Pt 4,8)

Gesti nuovi e restrizioni

La riapertura del culto ai fedeli è stato un momento di grande e commosssa gioia! Un dono dello Spirito santo, proprio in occasione della Pentecoste.

Ma ahimé con la conferma di molte restrizioni e imposizione di gesti nuovi, in sé estranei al Culto cristiano, in parte già anticipati all’inizio della pandemia: la disinfezione delle mani all’entrata, il distanziamento sociale nei banchi, le mascherine, la rinuncia allo scambio della pace, la santa Comunione in mano per tutti.

Mi viene da pensare che il Signore, attraverso queste imposizioni necessarie per la sicurezza sanitaria, vuole che riscopriamo il vero significato di ciò che ci è tolto.

L’acqua benedetta che ci ha purificato dal peccato, ben più mortale del virus; i posti vuoti, perché proviamo lo struggimento dell’assenza di tanti fratelli, pur battezzati; la barriera della bocca, perché non escano le cattiverie, né assorbiamo le parole di menzogna; l’augurio cordiale della pace, più che il gesto formalistico;  l’umiltà di Dio che si consegna nelle nostre mani.

Che lo Spirito santo ci conservi nell’amore per Dio, così da volgere al bene ogni cosa. Vostro don Paolo

 

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4 ottobre 2020, parrocchiamassagno